La Battaglia argentina

Articolo pubblicato su Liberazione.it – 24 Settembre 2013

Tutti gli analisti minimamente seri stanno sottolineando l’attacco interno ed esterno, che oggi si rivolge contro il Governo argentino di Cristina Fernandez. Qualsiasi analisi sulla situazione argentina e dei paesi latinoamericani che contano con governi progressisti, deve essere situata nel contesto internazionale di grave crisi economica, che vede paesi come quelli europei, affrontare tale crisi con politiche di austerità, di ulteriori tagli alle spese sociali, riduzione del potere d’acquisto di lavoratori, pensionati e classe media. A livello mondiale, riduzione dei mercati di beni di produzione a favore della finanza speculativa. Inoltre la chiara intenzione degli Stati Uniti, e alleati, di proseguire nelle sue campagne guerrafondaie, questa volta in Siria, come metodo classico per affrontare la crisi più generale del sistema capitalista, con le conseguenze devastanti che questo comporta per le masse popolari nel mondo intero. Solo tenendo conto di questo quadro internazionale possiamo capire l’importanza di ciò che accade in America Latina e in Argentina.

Perché l’Argentina è sotto attacco.
Il paese è riuscito a ristrutturare un debito estero che toccò la sua punta massima nel 2001/02 che copriva il 160% del prodotto interno lordo (per fare un paragone l’Italia ha un debito di circa il 130% del Pil) ed esce dal default con le politiche del Presidente Nestor Kirchner che si rifiuta categoricamente di applicare il pacchetto classico del FMI fatto di tagli e privatizzazioni, cioè quello applicato in Europa. Nestor Kirchner e l’attuale Presidentessa Cristina Fernandez hanno intrapreso una politica economica espansiva e contro ciclica, di attiva partecipazione dello Stato negli investimenti pubblici e privati, raddoppiando l’industria e tutto l’apparato produttivo primario e di manufatti, creando 5 milioni di posti di lavoro con gli stipendi più alti di tutta l’America Latina, con rinnovo annuale di tutti i contratti nazionale di lavoro e con aumenti ben oltre l’inflazione, anche considerando quella misurata da agenzie private, ridando al movimento sindacale un ruolo fondamentale nel processo generale, nonostante le sue divisioni interne. Viene statalizzato il sistema pensionistico, privatizzato da Menem negli anni 90, incorporando milioni di persone e aumentando le remunerazioni di tutte le pensioni medio basse. Vengono ridotte le tasse sul lavoro dipendente e piccoli lavoratori autonomi, finanziando questa misura creando una tassa sulle transazioni finanziarie. Inoltre i Governi di Nestor Kirchner e Cristina Fernandez statalizzano, oltre al sistema pensionistico, le seguenti imprese privatizzate nei decenni precedenti: le Poste della Repubblica Argentina, quasi tutte le linee ferroviarie, l’impresa che distribuisce l’acqua potabile, i cantieri navali di Tandanor consegnando ai lavoratori il 10% delle azioni, espropria l’aerolinea di bandiera Aerolineas Argentinas ed espropria anche l’impresa petrolifera nazionale YPF, il 51% di essa, per portarla sotto il controllo dello Stato. Tutte misure a dir poco rivoluzionarie tenendo conto del contesto mondiale attuale. In questo modo aumentò enormemente il mercato interno, in una situazione internazionale di grave crisi e utilizzando un metodo opposto a quello del FMI e l’Europa, riducendo il debito estero a solo il 10% del Pil argentino e pagando regolarmente i creditori. Dimostrando così che non è necessario strangolare i lavoratori per uscire dalla crisi, e che si può mantenere il potere d’acquisto delle masse popolari nonostante la crisi internazionale. Quello argentino è un esempio per tutti i lavoratori e pensionati del mondo, dimostra nella pratica che si può mettere prima l’interesse dell’essere umano e dopo quello delle banche. Allo stesso tempo, l’Argentina è diventata un incubo per la finanza speculativa mondiale, il FMI, e da qui le ragioni fondamentali dell’attacco. Lo strumento dell’attacco è la finanza speculativa (fondi avvoltoi) che comprano titoli carta-straccia a pochi centesimi il titolo di paesi in default, sapendo che non potranno pagare. Si presentano poi nelle corti internazionali chiedendo il pagamento di quei titoli con tassi d’interesse a dir poco usurai. Nel caso argentino si tratta del fondo Elliott Capital Management di Paul Singer, lui e il suo gruppo rappresentano il 7% dei creditori argentini. Il 93% dei creditori aveva accettato la ristrutturazione del debito fatta nel 2005 e nel 2010 e ricevono regolarmente i pagamenti dello Stato Argentino. Serve, a questo punto, ricordare che secondo la legislazione di quasi tutti i paesi occidentali, compresi gli Stati Uniti, quando si rinegozia un debito, se almeno il 70% dei creditori accetta le nuove condizioni, queste diventano obbligatorie per tutti. Paul Singer si perciò rivolto alla giustizia degli Stati Uniti e il giudice Griesa ha emesso una sentenza contro l’Argentina, per la quale lo Stato dovrebbe pagare, a fronte di un investimento di 40 milioni di dollari, la somma di 1300 milioni!!!. L’Argentina si è appellata contro la sentenza e siamo in attesa degli sviluppi.Qui la cosa più importante non sono tanto i 1300 milioni, bensì il fatto che se l’Argentina li paga, l’altro 93% è autorizzata a pretendere lo stesso trattamento, e questo riporterebbe il paese al disastro del 2001, anche se l’Argentina si è dimostrata solvente, pagando il debito, dopo aver fatto crescere la sua economia e i suoi lavoratori. Dare ragione a Paul Singer risponde solo alla volontà di distruggere un paese che si è rifiutato di seguire le imposizioni capestro del FMI, annichilando “il cattivo esempio”.

La sconfitta argentina sarebbe un disastro per i lavoratori del mondo.
Oggi molti paesi del mondo hanno grandi debiti compresi i paesi europei, soprattutto quelli dell’area mediterranea, che prima o poi, in un modo o nell’altro dovranno affrontare ristrutturazioni per ridurre il debito. Una sconfitta argentina sarebbe un precedente che renderebbe molto difficile fare accettare ai creditori riduzioni del loro guadagno, questo riporterebbe quelle future negoziazioni alla posizione di “prima le banche e poi l’essere umano” con ulteriori conseguenze devastanti per lavoratori e pensionati, che in definitiva sono quelli che pagano. Sarebbe pure insostenibile per lo stesso sistema di credito a livello mondiale, come riconosce lo stesso giornale inglese The Guardian che certamente non è un amico dell’Argentina. Questo attacco economico non sarebbe possibile senza creare spaccature sociali nel paese, minando l’attività di Governo, e qui entrano in gioco giornali e TV. Mentre il ruolo di corazzata lo fa Elliott Capital Management, i grandi media sono le navi da sbarco, accompagnati dai politici asserviti a questi poteri. Giornali e telegiornali in tutto l’occidente si sommano alla battaglia contro il “cattivo esempio” argentino vaticinando che il paese è entrato in default per spaventare eventuali investitori, mentre in realtà tutti i conti macroeconomici del paese sono in positivo. In Argentina il principale gruppo informativo è Clarin, che di fatto è un grande monopolio con ramificazioni in quasi tutta l’economia argentina, con forti alleanze tra i latifondisti responsabili di tutte le dittature militari argentine, e guarda caso, con i media negli Stati Uniti. Le bugie che raccontano cadono una dopo l’altra, ma come ben sappiamo dalla vecchia frase “menti, menti, che qualcosa rimane” le conseguenze fra la popolazione argentina si fanno sentire, e in qualche misura hanno decurtato ai candidati del Governo alcuni punti alle elezioni primarie ultime.
Il Governo ha presentato una proposta di legge per rendere più democratico il possesso dei mezzi di comunicazione, il progetto di legge è stato discusso ampiamente nella società, poi nel parlamento e in fine approvato a larghissima maggioranza, elogiato per fino dall’ONU in ripetute occasioni, però bloccato da ormai 4 anni dai giudici. Lascio a voi lettori dedurre a chi rispondono questi giudici argentini.

Problema centrale, l’economia neoliberale.
Le grandi guide delle politiche dei Governi di Nestor Kirchner e Cristina Fernandez hanno ridato centralità allo Stato nelle decisioni economiche e sociali, spostando l’asse decisionale dai grandi gruppi economici verso la politica, mandando su tutte le furie i fautori del economia neoliberale, dentro e fuori del paese, scatenando una opposizione senza regole istituzionali.Non è semplice sradicare dalla economia, dalla politica e dalla società, un culto economico imposto da una dittatura e da oltre 30 anni di governi asserviti al FMI. Nel 2002 oltre il 50% della popolazione era povera e la disoccupazione ufficiale era del 27%, con tutte le conseguenze nella maggioranza degli argentini, la distruzione di gran parte dell’apparato produttivo del paese e la degradazione causata dalla povertà per generazioni intere. Come ogni Governo che affronta battaglie così titaniche, ha nel suo cammino avanzamenti e rinculi, errori e vittorie, grandi momenti di discussione per misure che si contraddicono. Ci sono ancora sacche di povertà nelle periferie urbane che ancora non sono state raggiunte dalla crescita del paese, “deudas sociales” come vengono chiamate in Argentina, che ancora aspettano soluzioni a problemi che sono seri. La cosa fondamentale è che il Governo di Cristina Fernandez ha trovato sempre linfa vitale per reagire, correggere il tiro e continuare ad avanzare nella distribuzione delle ricchezze, in una battaglia che in realtà è anche culturale, perché di seppellire il vecchio culto neoliberale si tratta, una battaglia enorme, per niente facile con i mezzi di comunicazione in mano ai grandi gruppi economici.

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