אמח, Emèt, Verità – Nota di Maria Rosaria Fazio

La verità o emèt è il sigillo di Dio secondo i rabbini. Le tre lettere di questa parola sono la prima, quella di mezzo e l’ultima dell’alfabeto ebraico. La verità deve essere piena e sufficientemente ampia per contenere tutte le lettere, tutte le parole, tutta la vita. Applicando le tecniche della qabbalàh, se stacchiamo la א (valore negativo = no) dalle altre due lettere מח (morte) possiamo interpretare così: la non- verità conduce alla morte; fermarsi, non fare il possibile per capire e comunicare, è una forma di morte.

Per contrasto, שקר shéqer o il «falso» consiste di tre lettere strette l’una all’altra verso la fine dell’alfabeto. Esse costruiscono un loro piccolo circolo chiuso, dove si critica e sussurra tra pochi vicini, non permettendo alla luce della verità di risplendere al suo interno. Il sigillo divino della verità ci ordina di essere onesti e di vivere con integrità. Questa riguarda ogni aspetto della nostra vita, dagli affari al modo in cui esprimiamo la nostra fede in Dio. Nella Bibbia, emèt viene usata solo in relazione ad una convinzione profondamente sentita ed incrollabile; essa è in stretto rapporto con la parola emunàh o “fede”. La veridicità del nostro punto di vista è dimostrata da quanto fermamente tale punto di vista viene mantenuto. In definitiva le cose per le quali siamo disposti a vivere e a morire diventano la nostra verità personale. È in questo spirito che la liturgia ebraica aggiunge la parola emèt alla conclusione dello shemà, confermando la nostra testimonianza personale alla verità di Dio.

Maria Rosaria Fazio

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