La bellezza delle parole garbate

di Nicola Viceconti e Patrizia Gradito – 7 dicembre 2018. La lingua italiana è un elemento di identità ancor prima dell’Unità d’Italia. Rispettare la nostra lingua significa confrontarsi con la storia politica e civile del paese. Scegliere con cura come comunicare è segno di rispetto di se stessi, dell’altro, del proprio paese. Se si ama un popolo, rispettarne la lingua è un buon inizio. Dovremmo pretenderlo da chi ricopre una carica istituzionale e deputato a essere portavoce delle nostre istanze. Non si tratta di non sbagliare la consecutio temporum o un congiuntivo, si tratta di curare il modo di esprimersi, di rispettare chi si rappresenta, il popolo e l’interlocutore, il popolo. Si tratta di riconoscersi. Parlare con proprietà di linguaggio è garanzia di corretti processi di pensiero. Avere a cuore il lessico, ritrovare uno stile garbato non è solo questione di affettata gentilezza o di forma ma ha ricadute sui comportamenti e sui rapporti. Come sostiene Stefano Jossa, ne “La più bella del mondo. Perché amare la lingua italiana”, edito da Einaudi, le regole linguistiche custodiscono la libertà, stabiliscono il confine tra giusto e sbagliato, pongono limiti e all’interno dei confini aprono grandi spazi di creatività, rappresentando così il reale fondamento della democrazia, perché governano una comunicazione attenta all’interazione.  La cifra del rispetto sta in quella intima volontà di rivolgersi all’altro da sé con cura. “Rispetto” deriva dal latino, respicere, guardare a distanza, è un sentimento che nasce dalla consapevolezza del valore di qualcosa o di qualcuno, implica attenzione, garbo. Chi, pur nelle ombre di un’istituzione, ne scorge la storia, lo sviluppo degli ideali, il percorso valoriale e il sacrificio di tante persone porta rispetto, ne custodisce la memoria e la valorizza. La lingua è sia strumento di soggettività, ovvero la capacità di dire sé stesso, che di partecipazione, la possibilità di stare insieme agli altri: segna la qualità della vita sociale e del confronto critico e civile. La lingua permette di costruire, veicola libertà di pensiero.

“L’Italia sta marcendo in un benessere che è egoismo, stupidità, incultura, pettegolezzo, moralismo, coazione, conformismo: prestarsi in qualche modo a contribuire a questa marcescenza è ora, il fascismo. L’Italia cioè non sta vivendo altro che un processo di adattamento alla propria degradazione. […] Tutti si sono adattati o attraverso il non voler accorgersi di niente o attraverso la più inerte sdrammatizzazione […] Il nuovo fascismo non distingue più: non è umanisticamente retorico, è americanamente pragmatico. Il suo fine è la riorganizzazione e l’omologazione brutalmente totalitaria del mondo […]  Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia”

Le illuminanti parole del Pasolini degli Scritti corsari, che parlando del suo tempo profetizza gli anni della società liquida e dell’egemonia finanziaria sui popoli, condannano la volgarità come segno dell’impero del conformismo, incoraggiano a non restare inermi, a scegliere. È ora di esigere più rispetto. Iniziamo da come parliamo, pretendiamo dai politici intanto meno trivialità, meno “cattivismo”.

 

La scelta delle parole da dire

La sciatteria e la estrema semplificazione del linguaggio, sbandierata con superficialità e arroganza dai nostri politici è, di fatto, autolesionismo per tutta l’Italia, perché porta in essere l’impoverimento della realtà e della sua conoscenza; stabilisce come normalità l’aggressività, la piattezza; è rinunciare all’opportunità di cogliere e trasmettere più significati, di avere uno scambio ricco, dialettico, stimolante. Si tratta di un modo tutt’altro che costruttivo. La mitologia greca ci offre spunti di riflessione interessanti anche in tal seno. Nella nona fatica, Ercole affronta mostruosi uccelli antropofagi, dal becco e dagli artigli di bronzo, nella palude di Stinfalo. Riesce a provocarne la fuga, battendo dei grandi piatti d’ottone donatigli da Atena, la dea della sapienza e scagliando loro frecce avvelenate. Il senso del mito è esplicito: la palude simboleggia la mente e le emozioni più oscure; è necessario liberare il pensiero dal rumore stridulo e non dare acceso a parole taglienti. Gli strafalcioni, le volgarità, gli imperativi perentori e le castronerie di certi politici che si esibiscono con nonchalance soprattutto attraverso i social con espressioni da bulli da bar dello sport, rivelano quasi una sottile strategia: dimostrare al popolo concordanza. Una tendenza a livellarsi sul triviale e sul pregiudizio che indica, tristemente, un’altra realtà: secondo questa classe politica, evidentemente, il popolo parla male, dice solo scemenze, vive di stereotipi e allora va assecondato, legittimandone le meschinità, è una pietosa lusinga. Non è che un meschino, vile gesto di vicinanza con il popolo che rivela, invece, una tremenda separazione, destinata a restare incolmabile, una mancanza di rispetto profonda, inchiodando il popolo a una dimensione di mediocrità.

Claudio Marazzini, in “L’italiano è meraviglioso”, edito da Rizzoli, inevitabilmente critica anche l’abuso delle parole in inglese, gli anglismi, evidente segno di provincialismo e non certo di cultura poliglotta. Per esempio, perché dire fake new al posto di notizia erronea, notizia falsa? Usare l’inglese ci stringe dentro un mondo economico, finanziario di manager e capitali, anche questo, talvolta è indice di classismo e snobismo. Amare l’italiano è nutrire la produzione artistica italiana, le opere di ingegno del nostro paese, è celebrare la memoria storica ed essere consapevoli della nostra identità. (in foto dipinto di  Lawrence Alma-Tadema)

Condividi questo contenuto:

Leave a Comment